Si fa presto a dire Vampiro... ospita Irene Vanni



Irene Vanni - Giornalista pubblicista, scrittrice, laureata in Lettere con una Tesi sul Rock Progressivo, è co-curatore di Horror Magazine.


I vampiri ‘brillanti’ sono spie umane che fingono di essere dei succhisangue, non li prendo nemmeno in considerazione. Per il resto, dandy byroniani o assassini famelici, top model affetti da priapismo o bastardi con lo zainetto, sono tutti amici miei. Nella letteratura vampirica (e di conseguenza anche al cinema e in TV) occorrono non-morti di tutti i tipi e un bravo autore deve saper caratterizzare con spessore ogni figura che dipana l’intreccio. È anche difficile suddividere le tipologie in due schieramenti contrapposti, in quanto i vampiri che funzionano meglio sono quelli rifiniti in chiaro-scuro, non bidimensionali, affascinanti proprio perché in possesso di pregi e difetti, vizi e virtù. Se un vampiro è troppo positivo, discostandosi dall’immaginario che lo ha reso vincente, non intriga; viceversa, un antagonista che non suscita empatia risulta una semplice macchietta. Un personaggio paranormale senza conflitto interiore è come il cibo senza sale. È necessario tuttavia che il conflitto sia ben costruito, altrimenti si scade nel prevedibile e nel già risentito.
Su Horror Magazine ho avuto a che fare spesso con i vampiri, di fantasia, veri o presunti tali, e più o meno sono tutti dei tipi interessanti (tranne le spie, ribadisco). Con Odissea Vampiri, per esempio, Delos Books è riuscita a portare in Italia due autrici che negli ultimi anni si sono dimostrate fra le più originali e di maggiore impatto, ovvero Charlaine Harris e Tanya Huff (a lei in realtà brilla il sorriso, abbiamo avuto occasione di pranzare insieme, ma a onor del vero si è nutrita con una comune carbonara). Contaminare l’horror con elementi quali il fantasy, il romance o il mistery rende il complesso di un’opera più interessante e insolito, incuriosisce i lettori, che trovano l’intrigo nuovo e diverso, per quanto infarcito dei tòpoi ascrivibili al genere. Il tutto dipende anche da come gli ingredienti sono miscelati. L’erotismo si è rivelato uno dei punti di forza della Harris. Per quanto il vampiro classico sia avulso dal sesso, i non-morti di True Blood non risultano zuccherosi e lagnosi come... le spie. Lo scheletro giallo dei volumi della Huff è ingegnoso (eppure anche lì i mostri della Universal e della Hammer ci sono tutti e l’autrice non sembrerebbe aver apportato del nuovo). 
Il suo giovane ultracentenario, figlio illegittimo di Enrico VIII, che per campare scrive romanzi rosa dietro pseudonimo femminile è divertente, ma anche piacevolmente intrigante, dato che quando c’è da mordere o comportarsi da canaglia, lo fa senza lambiccarsi troppo il cervello. È la sua natura, del resto. Fondamentale è che ogni aspetto sia dosato e limato con cura e malizia, tecnica e idee.

Devo ammettere però che mi trovo più a mio agio con i vampiri musicali. Giusto l’anno scorso ho presentato una relazione per una convention sui vampiri nell’heavy metal italiano e lì ne ho sondati davvero di ogni tipo, dai più aggressivi ai più soft, dai più romantici nell’accezione sturm und drang ai più romantici in senso rosa. E tutti loro incarnano quella che per me è la caratterizzazione per eccellenza del vampiro, perché l’heavy metal stesso permea i personaggi (affrontare i temi di un album è all’incirca come scalettare un romanzo) di quell’aurea un po’ simpatica un po’ ribelle che non li raffigura né buoni né cattivi.
Il mio vampiro ideale è dunque quello che si comporta secondo natura (azzanna e tira sangue al suo mulino), ma che non disdegna del tutto la modernità. Per me può anche essere un liceale daywalker o il gestore di un bar, un compagno fedele o un ballerino di mambo, non sarà questo a farlo cangiare al sole come un lip gloss. L’istinto poi parte dalla pancia e dalle gengive.
Non mi chiedo se è buono o se è cattivo.
Sarebbe come investigare sul leone che sbrana la gazzella.

Irene Vanni

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