Recensione: Cuccette per Signora di Anita Nair
Recensione : Cuccette per Signora di Anita Nair – ed.
Le Fenici
"Akhila è quel tipo di donna. Fa quello che ci si aspetta da lei. Tutto il resto lo sogna. Perciò colleziona brandelli di speranza, come i bambini collezionano biglietti usati. La speranza, per lei, è intrappolata all'interno di desideri irrealizzati."
Titolo: Cuccette per
Signora
Autore: Anita NairEditore: Le Fenici
Pagine: 333
Trama: Stazione ferroviaria di Bangalore,
India. Akhila, single quarantacinquenne da sempre confinata nel ruolo di
figlia, sorella, zia, è a un passo da realizzare il suo grande sogno: salire su
un treno gloriosamente da sola, sistemarsi in una delle cuccette riservate alle
signore e partire alla volta di una meta lontana, il paesino in riva al mare di
Kanyakumari. Con le cinque donne del suo scompartimento – Janaki, moglie
viziata e madre confusa; Margaret Shanti, insegnante di chimica sposata con un
insensibile tiranno; Prabha Devi, la perfetta donna di casa; Sheela,
quattordici anni e la capacità di capire ciò che le altre non possono;
Marikolanthu, la cui innocenza è stata distrutta da una notte di lussuria – si
crea subito una profonda intimità. Nelle confidenze sussurrate durante la lunga
notte Akhila cerca una risposta alle domande che la turbano da quando era
bambina, gli stessi dilemmi che caratterizzano il viaggio intrapreso da ogni
donna nella vita.
Recensione
a cura di Caterina Falchi
Cuccette
per signora mi è
stato regalato da una cara amica.
Da donna a donna una
storia di sole donne…La prima cosa assoluta di questo romanzo che mi ha colpito è la capacità descrittiva dell’autrice delicata ed efficace che porta il lettore dentro le scene e a contatto con i personaggi stessi.
Storia di sole donne - per l’esattezza sei: Akhila, Janaki, Sheela, Margaret, Prabha Devi, Marikilanthu - Cuccette per signora ci porta nell’India più genuina e vera, in epoche differenti fra loro grazie ai flashback che le protagoniste vivono durante il viaggio in treno di una notte.
La protagonista assoluta è Akhila, donna che ha dedicato tutta la sua vita agli altri dimenticando la cosa più importante: sé stessa.
È in un momento speciale della sua vita, il momento della rivalsa e della riscossa, quando decide di intraprendere un viaggio in treno da sola per trascorrere un periodo in un paesino in riva al mare, cosa inconcepibile in una società dove il giudizio degli altri condiziona il vivere quotidiano, dove la parità fra uomo e donna non esiste e dove una donna nubile e sola di quarantacinque anni non ha ormai più valore.
Ed è in questo suo viaggio verso la libertà che incontrerà altre donne con vissuti diversi ma accumunati dal dolore.
Akhila chiederà loro se una donna può farcela da sola.
Ogni donna presente in quello scompartimento racconterà la sua storia e darà il suo contributo all’evoluzione della vita della protagonista.
La prima, Janaki, narrerà della sua vita, in compagnia del marito, tranquilla, serenamente rassegnata.
“Lentamente Ebe diventò un uomo grasso. Un uomo tranquillo. Un uomo bonario. Un uomo che non aveva più bisogno della sua combriccola e che non deturpava più i libri. Un uomo al quale l’amore per il cibo aveva spuntato la lama. Dal momento che ero io a soddisfare il suo appetito, mi cercava sempre di più. Stimolavo la sua fame di cibo e ogni tanto di sesso, in tutti i modi che conoscevo. Aveva bisogno di me come mai prima.”
Imparare a nuotare. Da sola.
“Prabha Devi si raddrizzò e seppe che la vita non sarebbe mai più stata la stessa. Che nulla di quello che sarebbe successo avrebbe mai potuto eguagliare quel momento di supremo appagamento, quando si era resa conto che riusciva a stare a galla”.
La giovane partorirà ma non riconoscerà il bambino che verrà allevato dalla famiglia mentre Marikolanthu diventerà sempre più insensibile alle emozioni a causa dei torti subiti.
Ma ad un certo punto la giovane donna resterà sola e deciderà di lottare per il proprio destino. Chiederà solo felicità e si renderà conto che felicità è suo figlio:
“Ormai da troppo tempo mi ero accontentata di essere una copia dell’originale. Un surrogato di padrona di casa. Un surrogato di madre. Un surrogato di amante. Ma adesso volevo di più. Volevo essere l’originale.”
E così fa.
Si scrolla di dosso anni ed anni di sofferenze e prende quel treno che la porterà… al finale della storia!
Non è una lettura
facilissima e scorrevole in quanto la struttura a flashback ci porta avanti ed
indietro da quel treno, ci riporta nel passato e ci fa passare attraverso
storie completamente diverse fra loro forse a volte creando un po’ di
confusione. Ma è solo un’opinione personale.
Ho avuto qualche
problema nel ricordare i vari nomi indiani (che sono difficilmente associabili
a uomini o donne) e quindi in certi momenti la lettura ha subito dei
rallentamenti, ma la voglia di vedere come andava a finire mi ha fatto
resistere e superare queste piccole difficoltà.Consiglierei la lettura a tutti gli appassionati dell’universo emotivo femminile e della cultura indiana.
Leggendolo mi sono sorte spontanee delle riflessioni.
È ancora così?
Qual è la situazione attuale della donna in paesi diversi dal nostro?
Quanto è giusto seguire i propri desideri e quanto è giusto scendere a compromessi?
Esiste la felicità?
Una donna può farcela da sola?
Cosa un po’ anomala per un libro così serio ma che ci fa entrare ancora di più nell’atmosfera narrata.
La società indiana che la Nair vuole rappresentare, tradizionalista e conservatrice, esplica pesanti condizionamenti sull’identità femminile: dipendenza dalla famiglia, impossibilità di autodeterminazione, soggezione alle figure maschili sono la regola per le protagoniste di questo romanzo.
RispondiEliminaI racconti delle sei donne (tenuti assieme da un pretesto fragilissimo, un viaggio in treno nella medesima cuccetta ferroviaria) si dipanano in modo parallelo senza mai incrociarsi; i fatti narrati sono così slegati che l’opera avrebbe tratto vantaggio – e si sarebbe forse presentata in modo più onesto – se fosse stata impostata come raccolta di racconti del tutto autonomi.
L’autrice ci prospetta questo gruppo di viaggiatrici che, senza timori o reticenze, si raccontano fin nei più intimi dettagli le vicende, talvolta scabrose, della loro esistenza.
Stupisce, innanzitutto, che si dia per scontata la confidenza tra donne accordata in modo così immediato e incondizionato. È più facile che questo tipo di complicità istintiva scatti tra uomini che tra rappresentanti del sesso femminile: antagonismo e diffidenza non mancano nei gruppi di soli maschi, ma in quelli di sole donne sono più spiccati e marcanti.
La narrazione risulta un po’ artefatta e forzata e lo svolgersi degli eventi, sempre a lieto fine, presenta contraddizioni in termini di tenuta logica e di tratteggio psicologico. Sono ingenuità (o furberie?) che si avvertono in particolar modo nella vicenda della moglie che ingozza il marito perché ingrassi fino ad aver bisogno di un ricovero in una clinica specializzata; la donna afferma di sapere che l’obesità gli fa regolarmente perdere mordente e cattiveria, gli ammannisce quindi, in modo subdolo e continuativo, abbondanti porzioni di cibo che ha cura di preparare personalmente. Sembra che il metodo dell’ingrasso funzioni: l’uomo, aumentando di peso, perde la sua tracotanza e si trasforma in un pingue borghese inoffensivo.
Anche la storia della donna che, dopo una sola settimana di bagni all’aperto, supera tutte le sue inibizioni e, riconciliatasi con il proprio corpo, riscopre improvvisamente i piaceri del sesso, è veramente troppo ottimista, anche a voler accordar credito alle propagandate proprietà terapeutiche del nuoto.
La narrazione delle vicende di Akila, quarantacinquenne sfruttata dalla famiglia che coraggiosamente decide dopo anni di sacrifici di cambiare vita, sembra essere più equilibrata e strutturata rispetto a quella delle altre donne. A poche pagine della fine del romanzo, però, terminato il suo viaggio in treno, la donna si concede una spensierata avventura sessuale occasionale. Quello che l’autrice non ci spiega è come possano tutti i condizionamenti accumulati durante un’esistenza di educazione repressiva improvvisamente allentarsi e lasciare spazio a tanta disinibita libertà d’azione.
Fin dal titolo l’autrice strizza l’occhio a una supposta sensibilità femminile che, grazie a Dio, è più complessa ed esigente. Questo quadretto rosa che l’autrice confeziona per blandire un pubblico di lettrici è nel complesso melenso e poco veritiero.
Mariangela