recensione l'Eredità di Iside

 

Titolo: L’eredità di Iside
Autore: Francesco Gioè
Casa Editrice: Neftasia Romanzi
Pagg.: 372
Recensione


I personaggi di questo romanzo, un po’ consorteria segreta, un po’ archeologi alla Indiana Jones  e adepti di un’organizzazione ecologista sullo stampo di Greenpeace si trovano ad affrontare un’indagine pericolosa e una sfida senza precedenti. Essi si muovono fra le catacombe di Palermo, dove rinvengono un brandello di arazzo con disegni all’apparenza indecifrabili, l’Egitto dei Faraoni da dove scamperanno ad un agguato teso da agenti nemici, fino a raggiungere fra mille peripezie, l’Africa equatoriale, il Nord Europa e l’Arcipelago greco. In ognuno di questi posti tracce di antiche vestigia rimandano continuamente ad altri riferimenti misteriosi e ad enigmi da dipanare per trovare una soluzione al caso loro affidatogli. I protagonisti si trovano a riscoprire riti religiosi atavici e apparentemente dimenticati, ma ancora vivi e vitali presso alcune popolazioni locali.

Questo gruppo di ecologisti, fra stratificazioni etnico-linguistiche e riferimenti biblici è chiamato anche ad una  missione salvifica per tutelare quanto resta di uno degli ultimi polmoni verdi rimasti sul pianeta, minacciato da multinazionali senza scrupoli che tentano di impossessarsi di risorse naturali rare e preziose, come l’oro o il coltan, metallo indispensabile nell’industria aerospaziale e nell’elettronica. Questi agenti segreti bizzarri e improbabili quanto coltissimi e dalle inarrivabili competenze, si impegnano con tutti i mezzi possibili, talvolta ai limiti del lecito, fra popoli in rivolta per la loro terra, cospirazioni a livello planetario, lotte interetniche.

L’autore ricorre a dotte descrizioni e accurate analisi storico-scientifiche e semantiche, ad accenni alla numerologia e disamine antropologiche; il tutto condito da un linguaggio ora aulico ora faceto in un continuo intrecciarsi di parole che si fanno doppi o tripli significati per scompaginare a bella posta e in modo spiazzante la narrazione, talvolta in forma di spot.

Tuttavia il libro difetta di unità, nel senso che i protagonisti e i comprimari dell’azione si muovono nello spazio letterario senza un apparente filo conduttore.
Francesco Gioé sposta troppo repentinamente le ambientazioni da un luogo all’altro, inserendo le voci e le azioni dei personaggi, senza concatenare gli eventi in modo armonico e univoco.
Talvolta il lettore si smarrisce nei meandri di una trama un po’ troppo complessa a scapito dell’obiettivo del racconto e si trova costretto ad una rilettura dello stesso.
La narrazione dell’autore, peraltro vivace, scaturisce da una trattazione moderna della parola, un po’ agitata e scomposta, troppo spesso al servizio di una creatività istantanea ed estemporanea. Tutto questo va a scapito di un raccontare più conseguente che in questo caso dovrebbe essere funzionale alla complessità e alla modernità degli argomenti trattati. In considerazione dei continui riferimenti e intrecci fra passato e presente, fra equipaggiamenti ipertecnologici e reperti antichi e magici capaci di scatenare violente e imprevedibili reazioni, il linguaggio e il dipanarsi degli eventi dovrebbero essere quanto mai fluidi e trasparenti.

Il libro rappresenta un buon punto di partenza per Francesco Gioé esordiente con grandi capacità di scrittura, che potrà giungere a traguardi ambiziosi se saprà coniugare le doti di narratore con una trama limpida e al servizio del lettore, giudice primo e ultimo di uno scritto.

Maria Irene Cimmino

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