Recensione: Trieste è un'altra di Pietro Spirito



Titolo: Trieste è un’altra
Autore: Pietro Spirito
Casa Editrice: Mauro Pagliai Editore
Pagg.: 94

Recensione

Sistemare i pezzi di uno specchio rotto: un’ immagine insolita per parlare di Trieste.  Ricomporre le tessere di un mosaico, o ricostruire i pezzi di un puzzle, ecco le parole che ci si sarebbe aspettati. L’autore ha scelto invece una metafora che lascia il lettore interdetto, con un gusto amaro, di qualcosa di irreparabile che si tenta invano di sistemare, di un oggetto che se anche lo aggiusti non avrà più la funzione primigenia.

Così è un po’ la Trieste vista con gli occhi di un giornalista scrittore come Pietro Spirito che ne conosce gli angoli più reconditi, i tratti nascosti, il carattere a volte schivo che si cela per non farsi vedere e magari giudicare dall’esterno.

Trieste è un’altra è un viaggio cittadino fra gli splendori di un tempo, diventati rovine - come il porto vecchio, fiore all’occhiello della Trieste città emporiale, porta dell’impero asburgico e ora solo vuoti stanzoni in cui si aggirano gli spettri di un passato glorioso e dove, se ti metti in ascolto, puoi ancora sentire le migliaia di voci, lingue, idiomi che qui si sono intrecciati per decenni.
O quella stazioncina dimenticata nel cuore della città,  che accoglieva i passeggeri della linea ferroviaria per Vienna, e rimasta così com’era, cristallizzata, con la sua antica sala d’aspetto e i cartelli bilingui, cui tuttavia non mancano le premure e le attenzioni di una signora che non la vuole lasciare e l’accudisce come se da un momento all’altro giungesse un treno a vapore con i suoi passeggeri.
E poi  ciò che resta  dell’ex campo profughi di Padriciano che ha accolto le migliaia di italiani esuli dall’Istria, da Fiume e dalla Dalmazia dopo la Seconda Guerra Mondiale. Un luogo del dolore, della memoria, dello smarrimento per coloro che avevano perso tutto e che non avevano più né un passato, né un presente e con un futuro da inventare.
Il libro è anche un viaggio fra ciò che rimane dei valichi tra i due paesi, fra le casematte che ospitavano i soldati a presidio del confine con la Jugoslavia, ora abbandonate, ma che potrebbero diventare, con opportuni restauri, un grande museo all’aperto per far conoscere alle nuove generazioni la storia recente di queste terre, di questi limes intesi come confini mentali e umani e non solo fisici o geografici.
Il percorso si sposta quindi su piccole realtà cittadine, spesso sconosciute agli stessi triestini, ma che continuano a mantenere vivo il ricordo di eventi passati, di trascorsi importanti o che meritano di essere ricordati per le testimonianze lasciate.
Approfondire questi brandelli di storia, visitare questi monumenti abbandonati sarebbe quanto mai utile non solo per i turisti mordi e fuggi, ma soprattutto per gli abitanti di questa nobile decaduta che non sa ancora fare i conti con il suo passato: lo vorrebbe dimenticare, ma non può, in un viluppo di voci e presenze, vicende mai digerite, fantasmi che continuano a farsi sentire e ad aleggiare impedendo alla città di concentrarsi sul presente e di accogliere il futuro con entusiasmo e voglia di rimettersi in gioco.

Un resoconto breve e sincero, accorato e ironico, talvolta amaro ma fermo e tuttavia  venato da un fremito di nostalgia che si sublima nella visita alle Urne dei forti, ai padri della città, a coloro che hanno fatto grande Trieste e che riposano nel Cimitero Monumentale di Sant’Anna: un ricordo degli splendori del passato, un monito per l’avvenire.

Maria Irene Cimmino

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